Massimo Sgrelli, il Cerimoniale di Stato c’est lui

Massimo Sgrelli, il Cerimoniale di Stato c’est lui



L’Intellettuale abita qui/29

Massimo Sgrelli, il Cerimoniale di Stato c’est lui

Dal 1992 al 2008 dietro le quinte dei più grandi eventi di Stato, agendo perché riuscissero bene

Spesso mi trovate ad invocare, nei personaggi che animano il ‘teatrino della politica’, il senso delle Istituzioni. Vi parrò ‘antica’, una gufessa, una specie di ‘Donna Letizia’ polverosa (non dimenticate, però, che Donna Letizia, alias Colette Rosselli, altri non era che la moglie di Indro Montanelli). E’ che a me piacciono le cose fatte bene, che rispettino certe regole senza le quali è il caos, l’anarchia. La democrazia è anche delega di funzioni a persone fisiche che, in quanto portatrici di tali deleghe, vanno tutelate. E non lo penso solo io: il protocollo, ovvero il cerimoniale,lo ritroviamo nell’antica Roma; e, ancor prima, nell’antico Egitto. Il tutto si rispecchia nel concetto di sovranità. Recita ‘Wikipedia‘: «Ai tempi nostri, il cerimoniale/protocollo attiene alla sola sfera di relazioni e d’azione delle istituzioni della Repubblica. Estrinseca la propria attività nella manifestazione formale della vita dello Stato e si riferisce alla esplicazione della sovranità di esso e delle sue potestà. Ha natura ‘giuridica’ e discende dall’ordinamento giuridico-costituzionale». E così abbiamo chiarito la questione. Vi sono persone che sono i guru del Cerimoniale. Ma il guru fra i guru, in Italia, ai giorni nostri è Massimo Sgrelli, fino al 2008 e per oltre 15 anni Capo del Dipartimento Cerimoniale di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (passandogli il testimone nel 1992 il Prefetto Giovanni Bottiglieri, altra figura storica del settore e, incidentalmente, mio zio…). A lui (e ai suoi successori: oggi è in carica la dottoressa Ilva Sapora, prima donna a rivestire tale delicato incarico) è toccato il gravoso compito di occuparsi del Cerimoniale di Stato ‘interno’, mentre per quello internazionale (ovvero quando il Presidente del Consiglio, il Capo dello Stato o Ministri vari sono fuori del territorio italiano), la ‘patata bollente’ viene affidata al Cerimoniale diplomatico del Ministero degli Esteri, oggi diretto dall’Ambasciatore Riccardo Guariglia (probabilmente nipote di quel Raffaele Guariglia che fu un famoso diplomatico del ‘900, anche Ministro degli Esteri dopo il 25 luglio 1943). Sgrelli è autore dell’opera summa in materia, un’assoluta bibbia per chi vuole occuparsi di Cerimoniale. Il suo libro, edito da Di Felice, ‘Il Cerimoniale – Il cerimoniale moderno e il protocollo di Stato‘, scritto nel ’98, continuamente aggiornato e giunto alla sua ottava edizione, è considerato la pubblicazione più autorevole in materia, non solo in Italia, ed è adottato presso tutte le istituzioni pubbliche, presso le maggiori aziende e le accademie civili e militari. Incontriamo Massimo Sgrelli in un’accogliente aula del CEIDA, Istituto di Formazione nel campo della Pubblica Amministrazione (e non solo), del quale è apprezzato docente.

Quale è stato il tuo itinerario verso la direzione del Dipartimento del Cerimoniale di Stato?

Ho iniziato nel 1973 la mia carriera nei ranghi civili del Ministero della Difesa, fino a diventarne dirigente dell’Ufficio Concorsi. Nel 1985, l’avvocato Giorgio Giovannini, capo di gabinetto dell’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, avendo apprezzato, quale componente di una Commissione di Concorso presso il Ministero della Difesa, la mia capacità organizzativa (avevo salvaguardato l’esito senza intoppi di concorsi con migliaia di partecipanti!), propose al Premier il mio nome per andare a ricoprire un posto al Cerimoniale che si era reso disponibile. Fu così che mi ritrovai in questa nuova realtà a cui mi appassionai per la mia propensione naturale al problem solving…

Il Cerimoniale di Stato, però, ha un ruolo molto delicato: a volte possono nascere ‘grane’ di non poco momento…

Per lavorare in tale trincea ci vuole una mentalità organizzativa e una propensione al coordinamento di una serie di elementi che confluiscono nell’armonica organizzazione degli eventi più disparati, ma comunque afferenti alle persone che rappresentano la sovranità dello Stato. Presupposto di tutto è anche la conoscenza del panorama completo delle Istituzioni pubbliche, per stabilire, ad esempio, le precedenze fra le cariche, argomento assai delicato e occasione di malumori durante le cerimonie pubbliche. In Italia, lo sforzo per la gestione del Cerimoniale è maggiore rispetto ad altri Paesi, perchè fra le cariche pubbliche non è diffusa la sensibilità al rispetto delle regole formali che, a certi livelli, finiscono di essere solo formali, per diventare sostanziali.

Perché? 

La democrazia è un sistema articolato di regole, che prevede il rispetto di funzioni, di cariche, di simboli entro perimetri ben definiti. Perimetri che, invece, la dittatura non conosce, sì da trasformare il Cerimoniale in mere espressioni enfatiche. Dietro al Cerimoniale c’è sempre, comunque, un’etica delle relazioni senza la quale si ricadrebbe nella legge primordiale della giungla. Qualche volta, il Cerimoniale raggiunge livelli parossistici, intrecciandosi anche con le criticità della sicurezza, come ad esempio quando il dittatore libico Muhammad Gheddafi pretese di montare la propria tenda all’interno di Villa Doria Pamphili.

In 23 anni ne avrai visti di tutti i colori. Raccontaci, per favore, qualche aneddoto su momenti critici. 

C’è stato qualche Presidente del Consiglio che era un po’ meno attento alle regole di forma  -ma di cui non mi sembra carino fare il nome. Quel ‘qualcuno’ ci ha fatto venire un po’ di sudori freddi. In altri casi, un Presidente del Consiglio frequentemente ritardatario costringeva i cortei degli ospiti invitati a Palazzo Chigi a itinerari molto dilazionati nel tempo, come carovane di turisti in visita alle bellezze cittadine. Ciò affinché il padrone di casa, che non occupava l’appartamento presidenziale, potesse giungere in sede, sì da accogliere gli ospiti, così come prescritto dal Cerimoniale. Mi causò un certo imbarazzo una di queste Autorità, che conosceva bene Roma, allorché, giunta a destino, mi chiese per quale ragione il corteo fosse stato fatto passare per tre volte davanti al Colosseo.

Non solo Presidenti del Consiglio, però; anche altre Autorità ricadono nelle competenze del Cerimoniale di Stato. 

Il Cerimoniale di Stato organizza anche le visite pastorali del Papa in Italia e me n’è capitato di coordinarne a decine. Ad esempio, Giovanni Paolo II ha visitato tutte le Diocesi italiane -ed erano circa cento-, sempre acclamato dalla popolazione. Erano organizzazioni molto complesse, senz’altro più complicate, per il Cerimoniale, di quello richiesto per le cerimonie delle cariche civili, comportando la presenza di decine e, a volte, di centinaia di migliaia di persone. In tutti questi eventi, c’era l’aspetto liturgico, ma c’era anche una componente di ufficialità civile, che andava gestita con grande riguardo verso il Pontefice che ha rango di Capo di Stato.

E per i Presidenti della Repubblica?

 Nelle cerimonie di Stato la gestione è del Cerimoniale di Palazzo Chigi. In Italia, le Cerimonie di Stato più importanti sono: la Festa della Repubblica (2 giugno); la Festa delle Forze Armate (il 4 novembre); la Festa della Liberazione (25 aprile); da poco è stata istituita la festa dell’Unità Nazionale, il 17 marzo. In questi eventi così importanti, ricorre sempre il momento solenne della cerimonia della deposizione della corona d’alloro all’Altare della Patria, in omaggio al Milite ignoto, simbolo dell’Unità Nazionale. Ritorno un fatidico 4 novembre, col Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro in una cerimonia sotto una pioggia battente, proprio all’Altare della Patria. Per regole consolidate, è escluso in quel caso l’uso degli ombrelli. Ciò non solo per i militari, corazzieri compresi, ma anche per tutte le autorità presenti e noi che siamo di supporto. In quell’occasione c’inzuppammo tutti, in primis il Presidente, da capo a piedi. Ricordo Scalfaro, impassibile, con l’acqua che gli ruscellava in volto. Fu costretto a cambiarsi, prima d’intervenire alla cerimonia seguente, prevista al Quirinale.

Ci racconti qualche situazione critica che hai gestito? 

Wolfgang Schäuble, già Ministro non solo nel Governo Merkel e reso invalido da un attentato nel 1990, non ama ricevere aiuti allorché si sposta con la sua carrozzella. Proprio per questo, una volta che era ospite di un nostro Presidente del Consiglio, reagì piuttosto bruscamente allo zelo di alcuni nostri commessi che volevano assisterlo. Un altro momento di relativa impasse avvenne ad un pranzo di Stato in occasione della visita a Roma di un sovrano arabo. Vi è un gran lavoro per preparare tali eventi, con la preventiva consultazione dell’Ambasciatore in Italia e , nel caso, degli alti dignitari della Casa reale, persino per concordare il menu da servire a Villa Madama, nel Salone della Loggia. In quel caso, ci era stato detto che la Sua Serenissima Maestà poteva gradire un menu di pesce. Naturalmente, l’ospite viene servito per primo: al momento in cui il cameriere si avvicinò al Re col vassoio di pesce, si sentì dire: «No fish, please». Calò il gelo. Il nostro Presidente del Consiglio sbiancò; io trasecolai, memore delle indicazioni venutemi dalle persone più vicine al sovrano. Queste ultime avevano dimenticato di metterci in guardia contro una certa capricciosità di Sua Maestà che, talvolta, era punto dal ghiribizzo di fare il bastian contrario. Purtroppo, quella volta capitò proprio a noi! Non mi persi d’animo e ordinai subito in cucina un piatto alternativo, che non fu difficile realizzare, grazie alla presenza di un ottimo chef. Nessuno, nella circostanza, potette iniziare a mangiare, fin quando non fu pronta la nuova pietanza per Sua Maestà. E i poveri invitati, Presidente del Consiglio in testa, mangiarono… pesce freddo.

A volte accade che, non conoscendo le usanze dei Paesi in cui ci si reca in visita si commettano gaffes. Ne ricordi qualcuna?

Molti anni fa, una delegazione di Paese arabo in visita a Firenze fu sistemata in un grande hotel a cinque stelle della città: fu così che fecero conoscenza per la prima volta col bidet, accessorio sconosciuto presso le loro case o nei Paesi anglosassoni dove potevano aver studiato. Vedendo che il water era sigillato -stava ad indicare che era pulito di tutto punto-, arguirono che il bidet fosse un suo sostituto e lo usarono in alternativa, con grave disappunto del personale di servizio. In alcuni casi, nostre Autorità pubbliche sono risultate scarsamente informate riguardo ai costumi differenti degli Stati in cui si recavano in visita; ad esempio, in Paesi musulmani o orientali, con incidenti ‘di forma’ imbarazzanti nel corso degli incontri. Ad esempio, potrebbe avvenire che qualche autorità femminile non valuti il fatto che, in altri mondi, al di fuori di quello occidentale, la donna è tenuta a stili di comportamento precipui, come l’uso del velo in pubblico o la proibizione di un’innocente stretta di mano al proprio interlocutore di sesso maschile.

Come si suol dire: ‘A tavola e a tavolino, si vede il signorino’… Ricordi qualche ‘contravvenzione’ al galateo a tavola?

Certo, anche il galateo della tavola non è studiato approfonditamente dalle nostre Autorità pubbliche. Ma qui siamo in buona compagnia perché, nel corso di un’intervista ad un grande giornale tedesco, l’ex Cancelliere Helmut Kohl ha rivelato di aver più volte redarguito l’allora giovane e non Cancelliera Angela Merkel perché presentava qualche pecca nel suo comportamento a tavola. A proposito di Kohl, mi viene in mente che, nel Consiglio europeo svoltosi a Torino nel marzo 1996, per l’allestimento della Sala da Pranzo proposero delle leggiadre e fragili sedioline dorate che subito giudicai inidonee a sorreggere la mole del Cancelliere. Immediatamente le feci sostiuire con sedute più robuste, ancorché meno eleganti.

Hai evitato un ruzzolone a Kohl. Ma sei stato testimone di qualche altro fatto finito meno bene?

Un episodio piuttosto drammatico avvenne con Giovanni Paolo II, quando, già malato, dovendosi accomodare a fatica nella macchina bliondata, si aiutò -anche lui tutto da solo…- aggrappandosi al montante. Un premuroso agente di scorta, pur di garantire immediatamente la sicurezza, non si avvide della mano del Pontefice e chiuse il pesante sportello blindato, col rischio di trinciargli le dita. Forse funzionarono da ammortizzatori le guarnizioni di gomma, per evitare danni maggiori; infatti, successivamente, non risultò che il Pontefice fosse stato sottoposto a cure ortopediche.

Quale momento della tua vita professionale evochi con maggiore soddisfazione?

Nel 2006, dopo lustri che tentavo di proporre ai vari Presidenti del Consiglio pro tempore succedutisi di normare sull’ordine delle precedenze dellecariche pubbliche, riuscii finalmente a farlo approvare con un Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in un iter terminato nel 2008. Esso costituisce una pietra miliare del Cerimoniale, venendo a sostituire quello fatto approvare, anch’esso non senza fatica, da Alcide de Gasperi nel 1950. Si noti, ad esempio, che nel 1950 non erano state messe in funzione, ancorché previste dalla Costituzione, né la Corte Costituzionale, né le Regioni.

Un momento drammatico che ti ha colpito? 

I funerali dei caduti per la strage di Nassiriya, celebrati nella Basilica di San Paolo fuor dalle Mura, la più grande a Roma, dopo San Pietro. L’organizzazione da noi proposta non fu approvata dal Vaticano ed essendo la Basilica territorio della Santa Sede, prevalse la soluzione voluta dalle Autorità ecclesiastiche. Così i familiari dei caduti furono fatti accomodare dietro le Autorità, cosa che provocò la vibrata protesta di alcuni di essi ed a noi attimi di complicazioni.

Annamaria Barbato Ricci

Fonte: L’Indro, martedì 17 marzo 2015